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L’Harry’s Bar oggi compie 89 anni. Con Alessio D’Aguanno, che ha letto per noi il bellissimo libro di Arrigo Cipriani, ci è sembrato doveroso pubblicare il post in questa data così evocativa. Tanti auguri Harry’s Bar!

Harry’s Bar
Bastano queste due parole per evocare un vortice di emozioni a chi conosce questa magica bomboniera in Calle Vallaresso a Venezia.

La storia dell’Harry’s Bar inizia negli anni venti, quando il ragazzotto americano Harry Pickering, trasferitosi nella città con la zia per tentare di curarsi da un inizio di alcolismo, viene lasciato da solo e con pochissimi soldi dopo un litigio con lei. Giuseppe Cipriani, che a quell’epoca lavorava come barman all’Hotel Europa, si accorge subito che qualcosa non andava e dopo essere stato avvisato dei problemi economici dal ragazzo – “era molto facoltoso, ma sprovvisto delle carte di credito dell’American Express che, per nostra fortuna, non erano state ancora inventate” – si offre per aiutarlo a tornare in patria prestandogli un’ingente somma per quell’epoca: 10.000 lire. Harry ringrazia e due anni dopo torna per saldare il debito e per ringraziare Giuseppe a suo modo: 10.000 lire gliele restituisce per il prestito, 30.000 gliele dà per aprire un locale, il 13 maggio 1931, che porterà il suo nome.

“Il locale l’aveva trovato mia madre. Cinque metri per nove, un magazzino di corde in affitto. C’era anche il posto per un cucinino e un retro bar. A mio padre piacque subito perché si trovava alla fine di una calle senza uscita: infatti non c’era ancora il ponte che la collegava a piazza San Marco. I clienti avrebbero dovuto venirci apposta, e non caderci dentro solo perché ci passavano davanti. […]
È sempre successo. Fino a oggi i clienti sono venuti e vengono all’Harry’s Bar per una loro scelta. Sopra la porta d’entrata non c’è neppure l’insegna, c’è scritto solo “Harry” e sui vetri delle finestre, dietro le grate, c’è scritto Harry’s Bar.”

Dal ’40 al ’43 il cambio dell’insegna in “Bar Arrigo”, poi la requisizione dei fascisti, che la convertono in Mensa della Marina, e quindi il giugno del 1950, un 19 al primo esame alla facoltà di giurisprudenza del figlio Arrigo, l’autore del libro, e la sentenza di papà Giuseppe: «Non credo che tu potrai mai diventare un grande avvocato. Così è meglio se vieni a lavorare». Arrigo si laurea, ma con un diverso obiettivo in testa: portare avanti il lavoro del papà, che dal 1957 diventa l’anima dell’Hotel Cipriani. Solo tre anni dopo il locale, finora raccolto nell’unica piccola saletta, si amplia al piano superiore, nello studio di avvocato dove Arrigo aveva mosso i suoi primi passi da praticante.

Fin da quando è stato aperto, l’Harry’s Bar ha rappresentato una meta imprescindibile per gli affezionati e per le celebrità. “Io sono convinto che la maggioranza dei clienti famosi si trovasse bene da mio padre proprio perché non avevano la sensazione di venir trattati in maniera diversa dagli altri. La vera aristocrazia e la vera intelligenza non conoscevano ancora lo snobismo. Dico sempre ai miei camerieri di non cambiare il loro atteggiamento di fronte alle celebrità.” Ai tavolini del bar/ristorante veneziano si sono seduti, fra i tanti, Ernest Hemingway – che in un altro locale di proprietà, la Locanda di Torcello, scrisse il romanzo ‘Di là dal fiume e tra gli alberi’ – Charlie Chaplin, lo scrittore del romanzo ‘A colazione da Tiffany’ Truman Capote, il direttore d’orchestra Arturo Toscanini e tantissimi altri. “Per molti anni non c’è stato un menu scritto. Mio padre consigliava e i clienti si lasciavano guidare.” E come biasimarli, qui, nel luogo di origine di due ricette che hanno fatto la storia della gastronomia nazionale e mondiale e che Arrigo condivide nel libro.

“Tra i cocktail, la vera invenzione di mio padre è stata il Bellini, la bibita nella quale il delicato sapore della frutta attenua dolcemente l’asprezza del prosecco e che in luglio, il periodo dell’anno in cui le pesche sono nel loro momento migliore, acquista uno stupendo colore rosato.” Bellini perché nell’anno di nascita, il 1948, il colore rosato del cocktail ricordò a Cipriani la tonalità della toga di un santo in un dipinto del pittore veneziano Giovanni Bellini.

“La pesca va schiacciata con tutta la buccia in un imbuto cinese o con uno schiacciapatate. Si può anche usare una centrifuga, mai un mixer perché altrimenti il succo si mescola all’aria. Le pesche devono essere quelle bianche, mai le gialle. Meglio se piccole e con la buccia rosata. Il vino che noi abbiamo sempre usato è il prosecco di Conegliano, ma si può fare altrettanto bene con un buon spumante, magari champenoise. […] Per 6 persone: un quarto di succo di pesche di pasta bianca e tre quarti di prosecco di Conegliano o di spumante.”

L’altro cocktail menzionato nel libro è il Dry Martini, o semplicemente Martini, che qui “viene spesso chiamato Montgomery, perché così lo ordinava Ernest Hemingway, al quale piaceva che il vermouth, rispetto al gin, non superasse la proporzione di uno a quindici, la stessa proporzione – diceva – con cui il famoso generale inglese Montgomery riusciva a combattere durante la Seconda guerra mondiale.” Proporzione che adesso è passata a uno a trenta, nella combinazione che vuole 730 g di gin – qui viene utilizzato il Gordon’s – e 20 g di vermouth dry, il Martini & Rossi.

Chi pensa che questo autentico scrigno sia noto solo per il bar, però, si sbaglia di grosso. Gli iniziali quarantacinque metri quadri hanno conquistato gli affezionati clienti anche per la cucina, che si è sempre contraddistinta per l’utilizzo dei migliori ingredienti per la preparazione di ricette semplici, leggere e delicate. Come il Carpaccio. “Mio padre lo creò nel 1950, l’anno della grande mostra del pittore Vittore Carpaccio a Venezia.” Il nome venne dato in suo onore poiché a Cipriani il colore della carne cruda ricordava le tonalità intense dei quadri del pittore, delle cui opere si teneva in quel periodo una mostra nel Palazzo Ducale di Venezia.” Per la ricetta “venne ispirato dalla contessa Amalia Nani Mocenigo, una cliente abituale alla quale il medico aveva proibito di mangiare carne cotta. Non mi sono mai spiegato quale significato avesse questa dieta. Del carpaccio ci sono mille e una versione, o forse di più, una per ogni ristorante del mondo. Il vero carpaccio, però, è quello inventato da mio padre, e consiste in fettine sottilissime di controfiletto di manzo disposte su un piatto e decorate alla Kandinskij con una salsa che noi chiamiamo universale. […] Un chilo circa di controfiletto di manzo giovane (circa 600 g dopo averlo pulito), salsa carpaccio (o universale) e sale. […] Per 250 ml di salsa: 250 g di maionese fatta in casa, 1 cucchiaino di succo di limone appena spremuto, 1-2 cucchiaini di salsa Worcestershire, 30-45 ml di latte, pepe bianco macinato fresco, sale.”

Tutto è così metodico e allo stesso tempo magico, in questo posto che sembra non avere tempo, a differenza di Giuseppe, tristemente mancato nel 1980. Ora, alla guida vi è il nipote Giuseppe e agli inossidabili piatti rimasti in menu come gli Scampi Thermidor alla Cipriani, il Pollo al curry con riso pilaf e il Risotto Primavera, si affiancano ricette di altrettanta convinzione gustativa.

Il club sandwich tostato, il baccalà mantecato, i tagliardi all’amatriciana – senza pomodoro – i tagliolini al tartufo – tutte le paste fresche vengono fatte in casa, da sempre – il risotto alla parmigiana, i risi e bisi, l’ossobuco alla Cipriani – “la domenica, una ventina di clienti vengono da noi a Venezia da Milano, la patria dell’ossobuco, per gustare il nostro” – gli scampi alla Carlina e la torta al cioccolato. Come tutti i libri di ricette, il libro è suddiviso in sezioni, dodici per la precisione: i cocktail e i vini, i sandwich e le insalate, gli antipasti, le zuppe e le vellutate, la pasta, gli gnocchi, il riso, la polenta, il pesce, le carni, le salse, i dolci.

A differenza di tutti i libri di ricette, però, questo non è un semplice e mero elenco di ingredienti e procedimenti, ma un manuale di trucchi e aneddoti gustativi.
È un libro che parla di Venezia, un concentrato di storia, da far emozionare.

Titolo: Harry’s Bar di Venezia. Le ricette della tradizione
Autore: Arrigo Cipriani
Editore: Giunti Editore, 2016
ISBN: 8809811305, 978-8809811300
Lunghezza: 256 pagine

Photo by Adam Jaime on Unsplash

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